Un post innamorato, scritto da Raffaella Rimassa. Prima parte

Un cancello divide il presente dal passato. Inizia così la descrizione di Villa Durazzo di Sestri Levante, di Villa Rimassa per chi è del paese, della mia casa per me.

È vero che varcando il cancello si entra in un altro mondo, un mondo che io amo moltissimo.
Venite con me, vi accompagno a scoprirlo.

Il viale inizia come un viale importante, di quelli che portano alle ville nobiliari. Ci accolgono una serie di orti che sono dei piccoli capolavori. Se si va dritti si arriva alle case coloniche, se si gira si prosegue e si arriva alla villa. In quel punto il viale si trasforma, diventa una stradina di campagna che si snoda tra gli ulivi. Si passa sotto un gelso che con i suoi rami ha formato un arco, poi sotto un pino marittimo che è così obliquo che siamo stati costretti a deviare la strada. Quando sei in macchina ti viene spontaneo abbassarti perché sembra che i rami ti sfiorino. Poi inizia la galleria di noccioli. In estate è così fitta che di giorno è quasi buia. Ecco il vecchio ospitale che forse costituiva una tappa per chi percorreva la via del sale e l'ingresso storico della villa, proprio in linea d'aria con la facciata principale della villa, che ora è chiuso ma un tempo serviva per le carrozze.

Di lato un boschetto artificiale voluto dai Durazzo, appassionati di botanica, progettato dagli architetti del tempo (un altro simile si trova sopra la villa), da cui ti aspetti che da un momento all'altro esca Biancaneve. Certe notti se si è fortunati esce una piccola volpe tutta occhi e coda che scappa impaurita. Ci vive anche un fagiano con fagianella, girano indisturbati e completamente integrati nell'ambiente.

Inizia il terreno che fa parte della Casa dell'Arco con due giardini ai due lati, dove vorremmo ripristinare la vigna e gli alberi da frutto. Tutta la tenuta è improntata alla spontaneità: agli alberi secolari si alternano le aromatiche, le siepi di felci o le erbe per i piatti della nostra tradizione. Poi incontriamo l'uliveto che ci porta fino alla villa: sulle fasce rami di ginestra, fioriture antiche, qualche melo o pero o albero di fichi, un vialetto di alberi del caco e una testimonianza di alberelli di bosso che non voglio toccare perché hanno almeno cent'anni.

Conosco ogni ulivo che mi porta alla villa, sulla sinistra salendo c'è un piccolo spazio con due noccioli e una panchina: mia mamma mi aspettava sempre lì. Ho un ricordo di lei con una gonna di seta a fiorellini e una camicettina tinta naturale, raccoglieva sempre qualcosa: dell'origano, dei fiori di garofanino selvatico, della lavanda, e poi facevamo l'ultimo tratto insieme, c'erano sempre un sacco di cose da dirci. In una curva poco prima della villa c'è una ringhierina antica con due pilastrini: da quel momento cambia lo scenario e si sente che ci si sta avvicinando al "palazzo" come un tempo veniva chiamata la casa da chi abitava la tenuta. Di fronte alla righierina, su un poggetto, un cipresso che sta crescendo bene e che noi abbiamo piantato in occasione della rinascita del nostro uliveto. Siamo alla villa, una terrazza in ghiaia di lato e davanti con la vista del mare e delle due baie e un prato di lato con alberi secolari, il campanile di Santo Stefano proprio li, vicino, illuminato di notte con tanti lumini, il belvedere dove gli sposi immaginano una promessa di amore eterno e poi l'agrumeto, il giardino all'italiana, le grottine, gli alberi, le essenze, la scalinata, la natura. il paesaggio... Questo mondo incontaminato che ti avvolge e ti calma e ti riempie e ti appaga.
Entriamo?

Continua...

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